Il principe della risata
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PictureTotò bambino
Antonio de Curtis nasce a Napoli  il 15 febbraio del 1898 al rione Sanità in via Santa Maria Antesecula 109 ( per qualcuno 107 ) da Anna Celemente e Giuseppe de Curtis che però lo riconoscerà solo nel 1928 dopo aver sposato la madre nel 1921 . La sua indole artistica si rivela già ai tempi della scuola , infatti il piccolo Antonio intrattiene i suoi compagni di classe con frizzi e lazzi e piccole recite . Bambino introverso e solitario si merità però il nomignolo di " spione " per la sua abitudine di osservare le persone per poterle poi imitare . Questo  " hobby " gli tornerà poi molto utile nel corso della  sua carriera . Ed è  a scuola che avviene un  episodio che segnerà la sua vita artistica , infatti al collegio Cimmino un suo precettore gili darà un pugno ( sembra involontariamente ) che gli devierà la mascella creando di fatto quella che sarà poi la "maschera di Totò " 

Abbandonato gli studi cerca di accontentare la madre che l'avrebbe voluto sacerdote diventando chierichetto , ma la sua indole d'artista ha il sopravvento e nel 1913 a soli 15 anni inizia a frequentare piccoli teatri di periferia con lo pseduonimo di " Clerment " rappresentando macchiette di un noto attore dell'epoca Gustavo De Marco. Ed è in questi piccoli teatri che conosce Eduardo e Peppino De Filippo. Durante la prima guerra mondiale si arruola nel Esercito ( fanteria ) , rimanendo di stanza prima a Pisa e poi a Pescia,  trasferito poi  in Piemonte,di li poi a Livorno dove subì continui soprusi e umiliazioni da parte di un graduato; da quell'esperienza nacque il celebre motto dell'attore: «Siamo uomini o caporali?».
Dopo il servizio militare, fu scritturato dall'impresario Eduardo D'Acierno  come macchiettista (celeberrima  la macchietta del Bel Ciccillo, riproposta nel 1949 nel film Yvonne la nuit) e ottenne un successo alla Sala Napoli, con una parodia della canzone di E. A. Mario Vipera, intitolata Vicolo, che aveva sentita da Nino Taranto al teatro Orfeo e che chiese allo stesso se poteva "rubargliela".
Nel 1922 la famiglia si trasferì a Roma, ove Totò, con la disapprovazione dei genitori, fu scritturato come "straordinario" - cioè  senza  compenso - nella compagnia di Umberto Capece,  composta da attori scadenti . In quel periodo Totò ebbe un buon sucesso  impersonando  l'antagonista di Pulcinella.Il giovane  Totò si sacrificava molto  per arrivare  il teatro:  che si trovava dall'altra parte della città; e quindi chiese qualche soldo per il biglietto del tram  a  Capece che  lo sostituì all'istante con un altro "straordinario". Fu un duro colpo per Totò, che raccolse i suoi effetti si allontanò mestamente  dal teatro. In quel breve periodo di disoccupazione, Totò piombava nello sconforto totale, il suo morale si alzava solo quando riusciva a racimolare qualche soldo esibendosi in piccoli locali; nel corso di quelle esperienze, decise di puntare al genere teatrale a lui più congeniale: il varietà .
Sul finire degli anni Venti L'attore iniziò a pensare di esibirsi da solo ispirandosi a  Gustavo De Marco che imitava molto bene . Appena sentitosi pronto, decise di tentare al Teatro Ambra Jovinelli, dove erano passati : Ettore Petrolini, Raffaele Viviani, Armando Gill, Gennaro Pasquariello, Alfredo Bambi e lo stesso De Marco. Molto teso, si presentò al cospetto di  Giuseppe Jovinelli. Dopo un  breve colloquio  venne preso. Debuttò con le macchiette : Il bel Ciccillo, Vipera e Il Paraguay, che ebbero  successo ed  entusiasmarono  Jovinelli che fece un contratto prolungato  a Totò , gli affidò varie  parti dello spettacolo ed  organizzò addirittura un finto match tra lui ed un noto  pugile dell'epoca ; Oddo Ferretti.
La paga  però era molto bassa e  l'artista non poteva  permettersi abiti eleganti , accessori raffinati  un taglio di capelli caratteristico, In quel periodo amicizia con un barbiere, Pasqualino, il quale, avendo conoscenze in campo teatrale e impietosito dalle ristrettezze economiche del giovane, riuscì a farlo scritturare da Salvatore Cataldi e Wolfango Cavaniglia, i proprietari della Sala Umberto I.
  La sera dell'esordio l’attore diede il meglio di sé, lasciandosi andare in mimiche facciali, piroette, doppi sensi e le immancabili macchiette di Gustavo De Marco. Tra grida di bis ed applausi,l’esperienza al salone Umberto I segnò per Totò l’affermazione definitiva nello spettacolo di varietà.
Tra il 1923 e il 1927 si esibì nei principali caffè-concerto italiani, facendosi conoscere anche a livello nazionale. Grazie ai maggiori guadagni, poté finalmente permettersi di vestire abiti eleganti e di curare maggiormente il suo aspetto fisico, con i capelli impomatati e le desiderate basette alla Rodolfo Valentino; fu un periodo roseo soprattutto per quanto riguarda le donne, con le quali ebbe una serie di avventure (per lo più con sciantose e ballerine), tanto che acquisì presto il titolo di un vero «sciupafemmene». Prima di iniziare un suo spettacolo, sbirciava sempre tra il pubblico alla ricerca della "bella di turno" alla quale dedicare la sua esibizione, che il più delle volte, dopo varie serate, lo raggiungeva nel suo camerino durante l'intervallo o al termine dello spettacolo.
Totò negli anni Trenta Nel 1927 fu scritturato da Achille Maresca, titolare di due diverse compagnie; Totò entrò a far parte prima della compagnia di cui era primadonna Isa Bluette, una delle soubrette più in voga del periodo, e poi, dal 1928 di quella di Angela Ippaviz; gli autori erano "Ripp" (Luigi Miaglia) e "Bel Ami" (Anacleto Francini). Nella prima compagnia conobbe Mario Castellani, destinato a diventare in seguito una delle sue "spalle" più fedeli ed apprezzate.

Nel 1929 fu scritturato   dall’impresario Eugenio Aulicio e "vedette" in alcun spettacoli di Mario Mangini e di Eduardo Scarpetta, tra cui Miseria e nobiltà, Messanina e I tre moschettieri (dove impersonò d'Artagnan), accanto a Titina De Filippo.
Nel 1930,Stefano Pittaluga, che produsse con la Cines La canzone dell'amore (il primo film italiano sonoro) cercava nuovi attori da portare sul grande schermo. Le doti comiche di Totò non gli sfuggirono e gli fece fare un provino per il film Il Ladro Disgarziato film che non fu mai fatto.

Nel 1932 formò una sua compagnia d 'avanspettacolo. In tournée a Firenze conobbe la allora sedicenne  Diana Rogliani, dalla quale ebbe la figlia Liliana battezzata così in onore della Castagnola . Gli anni Trenta furono un periodo di grandi successi per il comico che, malgrado il guadagno non molto alto, si sentiva ormai affermato: portò in scena, insieme alla sua "spalla" Guglielmo Inglese (più avanti diventò Eduardo Passarelli), numerosi spettacoli in tutta Italia. Sulla traccia di copioni spesso approssimativi, Totò ebbe modo di dare sfogo alle risorse creative della sua comicità surreale, con mimiche grottesche e deformazioni/invenzioni linguistiche, interpretando anche Don Chisciotte e travestendosi addirittura da soubrette; imparò così l’arte dei guitti, ossia quegli attori che recitavano senza un copione ben impostato (molte delle macchiette le ripropose in seguito nel suo repertorio cinematografico: "Il pazzo", "Il chirurgo", "Il manichino”), arte alla quale Totò aggiunse caratteristiche tutte sue, pronto a sbeffeggiare i potenti quanto a esaltare i bisogni e istinti umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale. Naturalmente, come si confà allo stile di Totò, tutto espresso con distinti doppi sensi senza mai trascendere nella volgarità.
Nel 1933 si fece adottare dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, per ereditarne così la lunga serie di titoli nobiliari. L'anno successivo mise su casa a Roma insieme alla figlia Liliana e alla compagna Diana Rogliani (per la quale nutriva un'ossessiva gelosia), che sposò nell’aprile del 1935.
Totò fu uno dei maggiori protagonisti della stagione dell’avanspettacolo, arrivando ad acquisire una sua originale personalità artistica. Furono allora gli intellettuali che lo ammiravano a teatro, i primi a volerlo in qualche loro progetto cinematografico: tra di loro Umberto Barbaro e soprattutto Cesare Zavattini, che tentò infatti di imporlo nel 1935 per la parte di “Blim" nel film Darò un milione di Mario Camerini - ruolo andato poi a Luigi Almirante. Non realizzandosi questi progetti, il vero debutto avvenne nel 1937: Gustavo Lombardo, il fondatore della Titanus, produsse il primo film di Totò, Fermo con le mani!, diretto dal regista Gero Zambuto. Un film concepito con mezzi molto scarsi, la cui intenzione primaria era proporre al pubblico italiano un'alternativa del personaggio di Charlot, di Chaplin.
Nel 1938 Totò ebbe un distacco di retina traumatico all’occhio sinistro, per cui fu operato con esito negativo; si ritrovò di fatto quasi cieco, cosa di cui erano al corrente soltanto i familiari stretti e l’amico Mario Castellani. Nonostante l'incidente, trovò la forza di riaffacciarsi per un breve periodo al teatro d’avanspettacolo, la cui epoca, per lui gloriosa, giunse purtroppo al termine. In quel frattempo, causa il fatto che si sentiva come soffocato dal matrimonio e causa anche la sua opprimente gelosia nei confronti della giovane consorte (si parla che la tenesse perfino chiusa nel camerino mentre lui si esibiva), la sua vita coniugale entrò in crisi. Decise dunque di ritornare scapolo e si accordò con Diana per la separazione. In Italia non c’era la possibilità di divorzio, così dovettero chiedere lo scioglimento all’estero, in Ungheria, per far sì che fosse poi annullato in Italia. Dopo l’annullamento, i due continuarono comunque a vivere insieme, trasferendosi in viale Parioli, insieme alla figlia e ai genitori di lui.
Totò con Guglielmo Inglese, che fu una delle sue "spalle" teatrali più presenti insieme a Eduardo Passarelli e Mario Castellani. I primi due parteciparono anche ad alcuni film con Totò, Castellani invece affiancò il comico in quasi tutta la sua carriera cinematografica Dopo Fermo con le mani!, del quale Totò non si ritenne molto soddisfatto, ci fu, nel 1939, un secondo tentativo, che ebbe inizialmente problemi per i costi di produzione: Animali pazzi di Carlo Ludovico Bragaglia, dove Totò interpretò un doppio ruolo. Pure questo suo secondo film non fu del tutto riuscito, sebbene l'attore sfruttò al massimo le sue potenzialità "marionettistiche".
 Alla fine del 1939, andò in tournée a Massaua e Addis Abeba, in Etiopia, accompagnato da Diana Rogliani, Eduardo Passarelli e la soubrette Clely Fiamma, presentando lo spettacolo 50 milioni... c'è da impazzire!, scritto insieme a Guglielmo Inglese e già mostrato al pubblico italiano anni prima. Una volta rientrato in patria interpretò la sua terza pellicola, San Giovanni decollato, che fu sceneggiata, tra gli altri, da Cesare Zavattini, al quale venne affidata la regia dal produttore Liborio Capitani. Zavattini però non se la sentì e il compito passò ad Amleto Palermi. Proprio Zavattini, che nutriva ammirazione artistica verso Totò, scrisse per lui il soggetto Totò il buono, che non diventò mai un film ma servì allo sceneggiatore per la realizzazione del film Miracolo a Milano (1951), di Vittorio De Sica, con il quale instaurò uno dei sodalizi più celebri del neorealismo cinematografico italiano. Il quarto film fu L'allegro fantasma sempre di Amleto Palermi, dove a Totò vennero affidati tre ruoli differenti. Girato nell’autunno del 1940 (uscito poi a ottobre del ’41), fu l’ultimo film che interpretò prima del suo ritorno a teatro.
L'avanspettacolo era ormai finito e si sntrava nell'epoca della "rivista", un genere teatrale/satirico - per quanto si potesse essere satirici durante il il fascismo, si  era da poco entrati in guerra e la  censura era ferrea ed  attenta a qualsiasi battuta su Mussolini.
Il debutto al teatro Quattro Fontane di Roma con  Mario Castellani ed Anna Magnani , con i quali instaurò un solido rapporto artistico e di amicizia. La rivista era Quando meno te l'aspetti di Michele Galdieri con cui strinse  un sodalizio durato quasi 10 anni , con spettacoli scritti anche dallo stesso Totò tra le più note: Quando meno te l'aspetti, Volumineide, Orlando Curioso, Che ti sei messo in testa? e Con un palmo di naso.
I  tempi erano difficili , c'era il divieto di circolazione delle auto private , mancavano mezzi di trasporto e c'erno i bombardamenti. Fu in questo  periodo che  Totò girò " Due cuori tra le belve " con il famosissimo pugile  Primo Carnera, film che però fu distribuito solo nel dopoguerra col titolo Totò nella fossa dei leoni .
Nel maggio del '44, la rivista Che ti sei messo in testa (il titolo in origine doveva essere  Che si son messi in testa?, ma era fin troppo  chiaro l' accenno ai tedeschi occupanti)  creò  non pochi problemi a Totò  che dopo le prime rappresentazioni al teatro Valle di Roma, venne prima intimorito con una bomba all'entrata dal teatro, poi denunciato dal comando Tedesco insieme ai fratelli De Filippo.Avvertito  da una telefonata anonima., Totò, dopo aver allertato i fratelli De Filippo, si rifugiò con la ex moglie Diana e la figlia a casa di un amico in via del Gelsomino ,periferia nord di Roma, mentre i De Filippo si nascosero in via Giosuè Borsi. Ma dopo qualche giorno fu riconosciuto da alcuni ammiratori  e decise quindi tornare a casa  dove erano rimasti i genitori, e li restò fino alla  liberazione della capitale il 4 giugno .Secondo alcuni Totò  avrebbe anche sovvenzionato la Resistenza romana.
Il 26 giugno riprese a recitare al  Valle con Anna Magnani nella rivista Con un palmo di naso, in cui diede libero sfogo alla sua satira impersonando il Duce (sotto i panni di Pinocchio), e Hitler, che  rappresentò  in un atteggiamento ridicolo, con un braccio ingessato e i baffetti che gli facevano il solletico, entusiasmando il pubblico!
Totò mentre interpreta Pinocchio con Anna Magnani e Mario Castellani, nella rivista Volumineide (1941-1942) « Io odio i capi, odio le dittature... Durante la guerra rischiai guai seri perché in teatro feci una feroce parodia di Hitler. Non me ne sono mai pentito perché il ridicolo era l'unico mezzo a mia disposizione per contestare quel mostro. Grazie a me, per una sera almeno, la gente rise di lui. Gli feci un gran dispetto, perché il potere odia le risate, se ne sente sminuito. » Nel 1945, dopo alcune esibizioni nella capitale, a Siena e a Firenze, portando in scena la rivista Imputati, alziamoci! (in cui faceva la caricatura di Napoleone), Totò fu avvicinato al termine dello spettacolo da un partigiano, che indispettito da una sua battuta di risposta che accomunava ironicamente fascisti e partigiani, lo colpì al viso. Totò, corso immediatamente al commissariato per denunciare il fatto, decise poi di lasciar scorrere senza sporgere querela.
In quel periodo il sodalizio artistico con Anna Magnani si interruppe, quando l'attrice si rivelò al grande pubblico internazionale interpretando il ruolo della popolana Pina nel film Roma città aperta, diretto dal suo compagno Roberto Rossellini. Totò invece proseguì per la sua strada, continuando col cinema e con il teatro, e incidendo anche il suo unico disco 78 giri come cantante, interpretando canzoni non sue, Marcello il bello nel lato A e Nel paese dei balocchi, cantata con Mario Castellani, nel lato B.
Dopo la morte del padre (avvenuta nel settembre del '44),] Giuseppe De Curtis, tra il 1945 e gli anni successivi Totò alternò teatro e cinematografia, dedicandosi anche alla creazione di canzoni e poesie, ma anche ad una buona lettura, diligendo in particolar modo Luigi Pirandello.[81] Interpretò la sua sesta pellicola, Il ratto delle Sabine, con il regista Mario Bonnard, film che venne accolto da alcune critiche avverse, come quella di Vincenzo Talarico, che stroncò l'attore "augurandosi che rientrasse al più presto nei ranghi del teatro di rivista." Fu I due orfanelli il film spartiacque, scritto da Steno e Agenore Incrocci e diretto da Mario Mattòli, con il quale Totò interpretò altri tre film tra il '47 al '49: Fifa e arena, Totò al giro d'Italia (il primo film in cui compariva il suo nome nel titolo) e I pompieri di Viggiù (tutti di buon successo e incasso); inoltre, era il tempo della rivista C'era una volta il mondo di Galdieri, composta da sketch rimasti famosi, come quello del Vagone letto, con Totò al fianco di Isa Barzizza, la soubrette che debuttò nel film I due orfanelli e che proprio Totò volle nella rivista, e Mario Castellani, la fedele "spalla" teatrale che accompagnò Totò anche nel cinema, prendendo parte a quasi tutte le sue pellicole proprio per volere di Totò che, quando non c'erano ruoli disponibili, lo imponeva come aiuto-regista.
La rivista C'era una volta il mondo ebbe tanto successo che venne presentata anche a Zurigo, recitata in italiano ma acclamata ugualmente dal pubblico svizzero per la genialità comica degli sketch. Spesso gli spettacoli di rivista di Totò si concludevano con la classica "passerella", col comico che correva tra il pubblico con una piuma sulla bombetta, al ritmo della fanfara dei Bersaglieri (anche questo sarebbe stato riproposto più tardi nel suo film I pompieri di Viggiù). Nell'ottobre 1947 durante le repliche della rivista, la madre di Totò morì. Malgrado il grande dolore per la perdita di entrambi i genitori, l’attore non mischiò il lavoro con la vita privata, continuando ad essere il comico Totò nello spettacolo, e il malinconico Antonio De Curtis al di fuori. Aprì anche una piccola parentesi come doppiatore, prestando la voce al cammello Gobbone nel film La vergine di Tripoli. Prima di riaffacciarsi al cinema, partì per alcune tournée a Barcellona, Madrid e altre città spagnole, dove recitò in spagnolo (senza avere padronanza della lingua) con Mario Castellani nella rivista Entre dos luces (Tra due luci), improvvisando una canzone non-sense a metà tra spagnolo e napoletano. Tornato in Italia, ebbe anche una piccola esperienza nel campo pubblicitario, facendosi fotografare a pagamento sulla rivista Sette che promuoveva i profumi Arbell.
Con Aldo Fabrizi in Guardie e ladri (1951), fu uno dei rari film di Totò che ricevette elogi dalla critica Da quando entrò nel mondo del cinema, furono copiosi i film che gli si presentarono davanti, e molti dei quali non venivano nemmeno realizzati per problemi di produzione o per sua rinuncia. Alcuni venivano girati contemporaneamente, in tempi ristrettissimi (la maggior parte in due o tre settimane) e su set spesso improvvisati, tanto che a volte era proprio la troupe che raggiungeva Totò nelle città in cui recitava a teatro. L'attore, complice la pigrizia, era sempre molto avveduto quando gli venivano proposti dei progetti, ed essendo profondamente istintivo spesso non voleva conoscere nulla della pellicola che andava ad interpretare, affidandosi quindi alle sue qualità creative. Così, come sul palcoscenico, dava libero sfogo all’improvvisazione: il copione rappresentava solo un timido canovaccio per l'attore, che concepiva sul momento le gag e le battute; così tuttavia nacquero anche alcune delle sue scene cinematografiche più famose. «Era imprevedibile... recitava a braccio», testimoniò Nino Taranto. Secondo alcuni commenti, invece - come quelli di Carlo Croccolo, Giacomo Furia e Steno - Totò si rinchiudeva nel suo camerino a provare e riprovare le sue battute prima dello spettacolo o delle riprese, rileggeva il copione e modificava i passaggi che non gli convincevano, insieme all'amico Mario Castellani e agli attori coinvolti.
Totò con Carlo Croccolo nel film 47 morto che parla (1950) « Ma mi faccia il piacere! » (Uno dei modi di dire di Totò) Le differenze tra teatro e cinema crearono inizialmente non pochi disordini per l'attore, che, essendosi formato con lo stile teatrale e quindi con un'unica esecuzione dal vivo, dopo i primi ciak tendeva a perdere la concentrazione. Doveva perciò essere colto "al volo" per poter recitare al massimo; quindi la troupe doveva prima preoccuparsi di sistemare le luci e di preparare la scena con una controfigura, facendo anche qualche prova. Quando tutto era pronto, si poteva far intervenire Totò. Un'altra delle differenze tra le due forme d'arte, di cui il comico ne risentì molto inizialmente, fu il fatto di non riuscire a comunicare direttamente con il pubblico. Proprio per questo, di solito, i registi (in particolare Bragaglia, con il quale instaurò un solido rapporto artistico) e i membri della troupe lo spronavano dopo lo stop con un applauso, in modo da dargli maggiore carica ed entusiasmo. Un altro inconveniente furono gli orari. Totò, abituato agli orari teatrali, non si alzava mai prima di mezzogiorno, essendo un assertore della teoria che l’attore "al mattino non può far ridere”, girava nel cosiddetto orario francese, dalle 13 alle 21. Ciò creava non pochi problemi per le riprese. Complicazioni particolari ci furono per Totò al giro d’Italia, dove erano coinvolti molti ciclisti famosi dell’epoca come Bartali, Coppi, Bobet, Magni; l'attore, non arrivando in orario, dava difficoltà.
Nella stagione 1949/1950 ottenne l’ultimo successo a teatro con la rivista Bada che ti mangio!, costata ben cinquanta milioni, che debuttò al teatro Nuovo di Milano nel marzo del '49, dopodiché Totò si allontanò dal palcoscenico per dedicarsi esclusivamente al cinematografo. Dopo I pompieri di Viggiù, lavorò anche con Eduardo De Filippo nel suo film Napoli milionaria, che accettò di interpretare senza compenso, in segno dell'affettuosa amicizia che lo legava ad Eduardo. I due attori, sebbene si fossero in seguito progettati altri film da realizzare insieme, non ebbero più modo di rincontrasi sul set, apparvero solo in episodi diversi ne L'oro di Napoli di Vittorio De Sica e fecero un breve cameo ne Il giorno più corto.

Nel 1950 Totò rinunciò alla proposta di avere un ruolo, insieme al francese Fernandel, nel film di produzione italo-francese Atollo K, dove avrebbe avuto l'opportunità di recitare insieme a Stan Laurel e Oliver Hardy,

Tra il '49 e il '50, oltre a Napoli milionaria, Totò interpretò ben altri nove film, tra i quali alcune parodie: Totò le Mokò, Totò cerca moglie, Figaro qua, Figaro là, Le sei mogli di Barbablù, 47 morto che parla, tutti diretti da Carlo Ludovico Bragaglia, poi L'imperatore di Capri di Luigi Comencini, Tototarzan e Totò sceicco (dove s'invaghì dell'attrice Tamara Lees) di Mario Mattòli, Yvonne la nuit di Giuseppe Amato, Totò cerca casa di Steno e Mario Monicelli, una riuscita parodia del neorealismo sulla crisi degli alloggi, che suscitò un po' d'indignazione da parte della censura. Questi film (chi più chi meno) ebbero un buon successo di pubblico, ma non di critica, che fin dall’inizio, nella maggior parte dei casi, non gradì e contrastò lo stile surreale di Totò.
La morte dei genitori di Totò fu l’avvio di uno squilibrio familiare: nel 1951 Diana Rogliani, in seguito a un violento litigio, se andò di casa e si sposò; altrettanto fece, appena maggiorenne, e contro la volontà di Totò, la figlia Liliana, unendosi in matrimonio con Gianni Buffardi, figliastro del regista Carlo Ludovico Bragaglia. Totò restò solo, e in quel breve lasso di tempo scrisse la nota canzone Malafemmena, che concepì durante una pausa di lavorazione del suo nuovo film Totò terzo uomo, a cui seguirà Sette ore di guai. La canzone sembra che l’abbia scritta proprio per la ex moglie Diana, alla quale era ancora molto legato, ma i giornali dell’epoca affermavano che l’avesse dedicata a Silvana Pampanini,un’attrice con la quale recitò in 47 morto che parla e alla quale, in quel periodo, faceva la corte mandandole mazzi di rose e scatole di cioccolatini, arrivando a chiederla perfino in sposa (uno dei motivi per la brusca separazione con la Rogliani), la donna però lo respinse.
A parte le oscurità e le delusioni, il ’51 fu un anno importante per la carriera cinematografica dell’attore. Dopo il successo di Totò cerca casa, venne richiamato da Steno e Mario Monicelli per interpretare il ruolo del ladro Ferdinando Esposito in Guardie e ladri, al fianco di quell'attore che fu uno dei suoi amici più affezionati e uno delle sue migliori "spalle", capace di rispondere colpo su colpo alle improvvise e "aggressive" battute di Totò, Aldo Fabrizi. Per Guardie e ladri Totò era all’inizio riluttante, il ruolo offertogli era finalmente reale, diverso dai suoi precedenti personaggi e inserito in un contesto decisamente più drammatico. Il film ebbe inizialmente problemi con la censura, ma appena uscito nelle sale fu un successo unanime: alti incassi e grande apprezzamento di pubblico e di critica, che aveva fino a quel momento snobbato se non osteggiato l’arte di Totò. Nello stesso anno l’attore interpretò, sempre per la regia di Monicelli e Steno, Totò e i re di Roma, l’unico film che vide il comico recitare con Alberto Sordi. L’anno seguente fu premiato con un nastro d’argento per la sua interpretazione in Guardie e ladri,[ e l'opera venne presentata al Festival di Cannes 1952, dove si aggiudicò il premio per la migliore sceneggiatura, l’anno in cui l’attore collaborò a Siamo uomini o caporali?, la sua biografia (che si ferma nel 1930 - dopo il suicidio di Liliana Castagnola) curata da Alessandro Ferraù ed Eduardo Passarelli.
 Totò insieme a Franca Faldini   Totò impersona Pinocchio nel film Totò a colori , riproponendo alcuni movimenti della macchietta de Il bel Ciccillo Proprio nel ’52 Totò rimase colpito da una giovane sulla copertina del settimanale "Oggi", Franca Faldini. Le mandò subito un mazzo di rose con un biglietto: «Guardandola sulla copertina di “Oggi” mi sono sentito sbottare in cuore la primavera», poi le telefonò per invitarla a cena, la ragazza accettò solo quando Totò ebbe modo di farsi presentare. La Faldini, appena ventunenne, era da poco tornata dagli Stati Uniti, dove aveva preso parte al film Attente ai marinai! con Dean Martin e Jerry Lewis. Dopo essersi frequentati per circa un mese annunciarono il loro fidanzamento. Sebbene restarono insieme fino alla morte dell’artista, la loro relazione, che non arrivò mai al matrimonio, fu più volte sull'orlo di troncare, dovuta al fatto di essere due persone caratterialmente molto diverse; un motivo, tra l'altro, la differenza di età di trentatré anni. La situazione di convivenza senza un legame matrimoniale creò scandalo all'epoca, tanto che, pochi anni più avanti, i due, stanchi di essere tormentati dai paparazzi e dai giornalisti (che li definivano "pubblici concubini"), furono costretti a fingere di essersi uniti in matrimonio all'estero, un espediente che comunque non funzionò sino in fondo.

Franca Faldini comparve anche nel cast di alcuni film del compagno, il primo a cui partecipò fu Dov'è la libertà?, di Roberto Rossellini, che avendo apprezzato Totò in Guardie e ladri, lo scritturò per il suo film. La lavorazione del film non fluì come previsto, venne girato nel 1952 e uscì nelle sale due anni dopo, per il fatto che nel corso delle riprese Rossellini si disinteressò della pellicola e si allontanò spesso dal set. Molte sequenze furono quindi girate dal regista Lucio Fulci, e sembra che abbiano messo mano anche Mario Monicelli e Federico Fellini.

Insieme alla Faldini, girò poi Totò e le donne, nuovamente diretto da Steno e Monicelli, dove Totò recitò per la prima volta con Peppino De Filippo, con il quale formò in seguito una delle coppie più popolari del cinema italiano. Dopo che Steno e Monicelli si divisero, entrambi realizzarono, ciascuno per proprio conto, altri film con Totò. Il primo sfruttò la sua comicità surreale, il secondo proseguì sull’umanizzazione del personaggio (cominciata proprio con Guardie e ladri). Il primo grande risultato raggiunto da Steno fu Totò a colori - gran successo e incassi altissimi - uno dei primi film italiani a colori, girato col sistema "Ferraniacolor", in cui vennero riproposti alcuni dei suoi sketch teatrali, come quello di Pinocchio o del Vagone letto con Castellani e Isa Barzizza. Durante le riprese del film, Totò, a causa delle potenti luci usate sul set (che addirittura gli causarono una lieve infiammazione ai capelli) e alla sua vista già precaria, iniziò ad avere ulteriori problemi, fino a svenire in seguito a dei forti dolori accusati all'occhio destro, il solo con cui vedeva poiché all’altro ebbe, nel 1938, un distacco di retina.

Continuò comunque a lavorare. Nel 1953, in seguito ad alcune illustrazioni di Totò il buono disegnate dallo sceneggiatore Ruggero Maccari su Tempo illustrato, furono (con l'ovvio consenso dell'attore stampati e distribuiti degli albi a fumetti di Totò, rappresentato naturalmente in forma caricaturale, raccolti in una collana chiamata semplicemente Totò a fumetti, che illustrava storie liberamente ispirate ad alcune sue esibizioni teatrali. La collana venne pubblicata dalle Edizioni Diana di Roma.

Nel 1954, un suo brano musicale, Con te, dedicato a Franca Faldini, fu presentato al Festival di Sanremo, classificandosi al 9º posto nella graduatoria finale. La canzone venne interpretata da Achille Togliani, Natalino Otto e Flo Sandon's. Nello stesso anno, i giornali annunciarono che Totò avrebbe interpretato un film muto scritto da Age e Scarpelli, girarne uno sarebbe stata una grande soddisfazione per il comico, che affermò: «Il mio sogno è girare un film muto, perché il vero attore, come il vero innamorato, per esprimersi non ha bisogno di parole». Purtroppo il progetto fu annullato per il rifiuto dei produttori.
Tra il 1953 e il 1955 interpretò diciassette film, lavorò nuovamente con Steno in L’uomo, la bestia e la virtù  di Luigi Pirandello), dove nel cast era presente anche Orson Welles, poi con Mattòli ne Il più comico spettacolo del mondo (uno dei primi film italiani tridimensionali), e nella trilogia scarpettiana: Un turco napoletano, Miseria e nobiltà e Il medico dei pazzi. Fu anche chiamato dall’amico Aldo Fabrizi che lo volle per il film Una di quelle, al fianco di Peppino De Filippo, Lea Padovani e lo stesso Fabrizi; la pellicola (ridistribuita successivamente col titolo di Totò, Peppino e… una di quelle), dal tono drammatico e sentimentale, non ottenne il successo sperato. Si incontrò nuovamente anche con Monicelli, con il quale girò Totò e Carolina, film uscito nelle sale dopo un anno e mezzo dal termine della lavorazione perché massacrato dai tagli della censura, che era infastidita principalmente dai palesi riferimenti comunisti e dal fatto che Totò interpretasse un poliziotto, e per di più in un atteggiamento che tendeva a ridicolizzarsi.
L'attore ebbe poi l’opportunità di lavorare con Alessandro Blasetti, Vittorio De Sica e anche Camillo Mastrocinque, con il quale girò molte pellicole di successo. La sua vita privata però, non scorreva tranquilla come quella di spettacolo: Franca Faldini, in seguito ad un parto drammatico, diede alla luce il figlio di Totò, Massenzio; il bambino però, nato di otto mesi, morì dopo alcune ore.

La beneficenza

Di spirito caritatevole, per tutta la sua vita compì molteplici gesti d'altruismo, che includevano sostegno e offerte di viveri ai più bisognosi. Con l’avanzare dell’età si dedicò sempre più spesso a numerose opere di beneficenza: la vita privata dell’attore, negli ultimi anni, si limitava a sporadiche apparizioni in pubblico ma anche (seppur non avendo guadagni eccelsi per il fatto che pretendeva sempre poco dai produttori) a un’intensa attività di benefattore, aiutando ospizi e brefotrofi, donando grandi somme alle associazioni che si occupavano degli ex carcerati e delle famiglie degli stessi. Avendo poi una particolare predilezione per i bambini, dopo la morte del figlio Massenzio Totò andava spesso a trovare, insieme a Franca Faldini, gli orfanelli dell'asilo Nido Federico Traverso, di Volta Mantovana, portando con sé regali e giocattoli. Inoltre, in merito al suo amore per gli animali, per raccogliere cani randagi acquistò e modernizzò un vecchio canile, L'ospizio dei trovatelli, che lui stesso visitava regolarmente per accertarsi che i numerosi ospiti a quattro zampe (si parla di più di 200 cani) avessero le cure necessarie. Le spese totali per l'assistenza e il mantenimento del canile arrivarono a costargli circa cinquanta milioni.

Superato il dolore della perdita del figlio, al quale Totò reagì malissimo rinchiudendosi in casa per settimane, nel 1956 la tentazione di ritornare a teatro lo vinse, e, spronato anche dall'impresario Remigio Paone, recitò nella rivista A prescindere (che prendeva il nome da un suo modo di dire), che debuttò al teatro Sistina di Roma alla fine del '56, e che venne portata in tournée in tutta Italia. Nel mese di febbraio del 1957, a Milano, Totò venne colpito da una broncopolmonite virale, e nonostante i pareri dei medici che gli dissero di riposare, tornò sul palco dopo alcuni giorni, ciò gli causò uno svenimento appena prima di entrare in scena. I medici gli prescrissero almeno due settimane di assoluto riposo, ma Totò ritornò ugualmente a recitare esibendosi a Biella, Bergamo e Sanremo, dove cominciò ad avvertire i primi sintomi dell'imminente malattia alla vista. Il 3 maggio la situazione precipitò: mentre recitava al Teatro Politeama Garibaldi di Palermo si avvicinò alla Faldini (che aveva sostituito l'attrice Franca May e recitava sul palco insieme a lui) sussurrandole che non vedeva più; contando perciò solo sulle sue abilità e sull'appoggio degli altri attori, fece in modo di accelerare la conclusione dello spettacolo. Nonostante lo sconforto e la totale cecità, cercò di resistere e, per non deludere il pubblico ritornò sul palcoscenico - con un paio di spessi occhiali da sole - la sera del 4 maggio e, in due spettacoli, del 5. L'interruzione della rivista fu comunque inevitabile e, inizialmente pensato dai medici che fosse un problema derivato dai denti, gli venne diagnosticata una corioretinite emorragica all’occhio destro. L’impresario della compagnia, Remigio Paone, non credendogli, richiese una visita fiscale e avrebbe preteso anche che Totò fosse tornato a recitare.
Totò in un primo tempo fu completamente cieco, e anche dopo dei lievi miglioramenti e una volta riassorbita l’emorragia non riuscì più a riacquisire integralmente la vista. Dovette abbandonare definitivamente il teatro, continuando però con il cinema: semicieco, ritornò sul set interpretando a catena cinque film di Camillo Mastrocinque, che raggiunse il punto più alto del suo sodalizio con l'attore dirigendo Totò, Peppino e la... malafemmina (in cui si colloca la nota scena della “lettera”) e La banda degli onesti scritto da Age e Scarpelli, con la coppia Totò-Peppino e Giacomo Furia. Malgrado la malattia, le sue capacità recitative non si affievolirono mai, l'unico problema era il doppiaggio, quando alcune scene dei film non venivano girate in presa diretta, Totò non poteva doppiarsi poiché non era in grado di vedersi sullo schermo e non poteva sincronizzare le battute con il movimento labiale; in tali occasioni, veniva doppiato da Carlo Croccolo.

Nel 1957 restò quasi inattivo e interpretò solo un film, Totò, Vittorio e la dottoressa, di Mastrocinque. Per problemi economici fu costretto a vendere alcune proprietà, e successivamente decise di soggiornare per qualche giorno a Lugano, pensando di trasferirvisi definitivamente per motivi fiscali, ma ritornò a Roma e si spostò in un appartamento in affitto in Via Parioli con Franca Faldini, che gli rimase sempre vicino, insieme a suo cugino Eduardo Clemente, che gli faceva da segretario e factotum, e al suo autista Carlo Cafiero, che di solito lo accompagnava sul set.

Nel ’58 fu ospite d'onore nel programma Il Musichiere condotto da Mario Riva, con il quale aveva lavorato anni prima in alcune riviste teatrali.Durante la trasmissione l'attore si lasciò scappare un «Viva Lauro!», riferendosi ad Achille Lauro, l'allora capo del Partito Monarchico Popolare; questa sua sgradita, seppur scherzosa, considerazione politica, gli costò un allontanamento dal piccolo schermo (salvando alcune interviste in privato) sino al 1965, quando duettò con Mina a Studio Uno.

Sempre nel '58 recitò con l’attore Fernandel in La legge è legge ,  prese parte ad i m I soliti ignoti di Mario Monicelli, interpretando lo scassinatore  Dante Cruciani , I quell'occasione Totò ebbe modo di recitare , tra gli altri, con Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni. Nello stesso anno gli venne assegnato il Microfono d’argento alla carriera  e la  Targa d’oro dall'Anica per il suo contributo al cinema italiano.

Nel '59, durante la lavorazione del film La cambiale ,  ebbe problemi di salute e  e non lavorò per 15 giorni . Finite le riprese del film ,seguì i consigli medici si concesse alcuni mesi di riposo. In quel periodo scrisse la canzone  Piccerella Napulitana e la propose per il Festival di Sanremo ma  fu scartata.
Nel 1961 gli venne comunicato che era vincitore della Grolla d'oro alla carriera,con la motivazione: «Al merito del cinema, per aver da lunghi anni onorato l'estro e il genio del Teatro dell'Arte».Ma la sua salute e i suoi impegni non gli permisero di partecipare alla premiazione a Saint-Vincent.
Nonostante la malattia, Totò (da sempre fumatore) continuava a fumare fino a novanta sigarette al giorno. Cercò comunque di non rallentare troppo la sua già allora consistente produzione di film; e per il timore di perdere il lavoro e l'affetto del suo pubblico, cominciò ad accettare qualsiasi copione: aprì una parentesi con il regista Lucio Fulci ne I ladri e tornò con Steno nel film I tartassati, nuovamente al fianco di Aldo Fabrizi, a cui si aggiunse in un ruolo secondario l’attore francese Louis de Funès. Fu questa la fase in cui gli si affiancarono - a parte Castellani e gli apprezzati Aldo Giuffré, Aroldo Tieri e Luigi Pavese - molte altre "spalle", tra cui Nino Taranto, Erminio Macario, Gianni Agus, Ugo D'Alessio, Paolo Stoppa, Gino Cervi, Pietro De Vico e Raimondo Vianello.

Sebbene Totò fosse quasi completamente cieco (vedeva solo dai lati degli occhi), tanto da dover indossare un pesante paio di occhiali scuri che toglieva soltanto per le riprese, si muoveva sul set con assoluta disinvoltura ed era come se tornasse, solo per un attimo, a vedere; cosa che proprio lui affermò in un’intervista di Lello Bersani: «Appena sento il ciak, vedo tutto. È un effetto nervoso».

Tra i tanti film interpretati negli anni Sessanta, oltre ai numerosi con Peppino e alcuni con Fabrizi, di buon successo furono Totòtruffa 62 di Camillo Mastrocinque, Gli onorevoli e la commedia amara I due marescialli di Sergio Corbucci, dove recitò con Vittorio De Sica, poi I due colonnelli di Steno (ricordato per la scena della “carta bianca”) con l'attore canadese Walter Pidgeon, e Risate di gioia di Monicelli che, pur non essendo un film totalmente riuscito, segnò una tappa importante per Totò, che fu l’unica volta che recitò sul set insieme all’amica e compagna storica di teatro Anna Magnani. Non mancarono poi le parodie, come Totò contro Maciste, Totò e Cleopatra e Totò contro il pirata nero di Fernando Cerchio, che altro non furono che delle comiche rivisitazioni mitologiche dei film Peplum, a cui si aggiunsero Che fine ha fatto Totò Baby? (esplicita parodia di Che fine ha fatto Baby Jane?) di Ottavio Alessi e Totò diabolicus di Steno, una parodia del genere giallo-poliziesco, in cui Totò diede volto e fattezze a ben sei personaggi differenti. Esplorò anche il filone notturno-sexy insieme a Erminio Macario in Totò di notte n. 1 e Totò sexy, due tra i film più fiacchi della sua carriera.] La fama che Totò vantava tra il pubblico venne anche sfruttata come una sorta di veicolo pubblicitario o di lancio per cantanti quali Johnny Dorelli, Fred Buscaglione, Rita Pavone, Adriano Celentano, e per piccoli attori come Pablito Calvo che, interprete di Marcellino pane e vino, recitò poi in Totò e Marcellino.

Nel gennaio del '64 venne pubblicizzata la notizia dell'uscita del centesimo film di Totò,[ annunciato come il suo primo interamente drammatico, Il comandante. Diretto da Paolo Heusch e scritto da Rodolfo Sonego  richiese complessivamente otto settimane di lavoro, più del doppio rispetto alla media dei film di Totò. La notizia diede luogo a festeggiamenti e riconoscimenti, Totò ricevette perfino la "Sirena d'oro" e agli incontri internazionali del cinema venne accolto da un applauso interminabile, poche settimane dopo fu intervistato da Lello Bersani, per Tv7, e da Oriana Fallaci, per L'Europeo. Ma , il film, che era  solo l'ottantaseiesimo, non ebbe successo .

Poi, presso l’editore Fausto Fiorentino di Napoli, Totò pubblicò la famosa poesia 'A livella, che in origine si chiamava Il due novembre, per la quale vinse anche un premio.

Gli ultimi lavori « Ho girato diversi film mediocri, altri che erano veramente brutti, ma, dopo tutta la miseria patita in gioventù, non potevo permettermi il lusso di rifiutare le proposte scadenti e restarmene inattivo... »  Totò in Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all'italiana (1967), la sua ultima pellicola Proprio quasi fuori tempo massimo, al culmine della sua carriera, arrivarono proposte importanti da cineasti come Alberto Lattuada, Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Col primo fece, nel ’65, il film La mandragola, nel ruolo di Fra' Timoteo, che interpretò in modo brillante. Il secondo lo avrebbe voluto per il film Il viaggio di G. Mastorna, dove erano previsti nel cast anche Mina, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Lavorare con Fellini era sempre stata una delle maggiori ambizioni di Totò, ma la pellicola purtroppo non fu mai realizzata. L’incontro con Pasolini, invece, fu uno dei più importanti e inattesi dell’intera carriera cinematografica di Totò.

Sul set di Uccellacci e uccellini (1966) La prima opera realizzata fu Uccellacci e uccellini, che Totò accettò senza condividere appieno il suo personaggio e la poetica del regista; ormai l'intento principale dell'attore era produrre opere di qualità, per la sua solita paura di essere dimenticato dal pubblico. Pasolini lo scelse perché rimase affascinato dalla sua "maschera", che riuniva perfettamente "l'assurdità e il clownesco con l'immensamente umano". Per la prima volta Totò, durante la lavorazione di un film, si sentì in qualche modo smorzato, per volere di Pasolini che gli lasciava poco spazio ai suoi lazzi e alle sue improvvisazioni, rispetto a come era solitamente abituato con le pellicole precedenti. Uccellacci e uccellini, film di grande forza poetica, fin dall’inizio fu oggetto di discussioni e polemiche, anche se fu quasi unanime il riconoscimento della grande interpretazione di Totò, che, lodato dalla critica, conseguì il suo secondo nastro d’argento e una menzione speciale al Festival di Cannes.

Prima di ritornare con Pasolini, ottenne un ruolo in Operazione San Gennaro di Dino Risi, accanto a Nino Manfredi. Nel '67 girò con Pasolini il cortometraggio La terra vista dalla luna, episodio del film collettivo Le streghe, tratto dal racconto di Pasolini mai pubblicato Il buro e la bura; poi Che cosa sono le nuvole?, un episodio del film Capriccio all'italiana, dove l’attore prese parte anche a un altro corto di Steno: Il mostro della domenica.

Furono le sue ultime pellicole. Venne chiamato anche da Nanni Loy per Il padre di famiglia, di nuovo con Manfredi, in un ruolo di un anziano anarchico che vive vendendo calzini e mutande ai compagni della sinistra; film destinato a collocarsi fra i tanti progetti non realizzati da Totò, poiché girò la prima scena (per spiacevole casualità, quella d'un funerale) e morì due giorni dopo.

Nell’ultima fase della sua vita, mise in lavorazione alcuni caroselli e una serie per la Tv chiamata TuttoTotò, comprendente nove telefilm a cura di Bruno Corbucci e diretti da Daniele D'Anza. La serie, nata da un’idea di Mario Castellani, doveva essere inizialmente diretta da Michele Galdieri, l’autore di molte riviste di Totò, ma morì prima che iniziasse la lavorazione.La maggior parte dei copioni di questi telefilm apparivano troppo stolidi, e soltanto alcuni di questi, con testi discreti,diedero modo a Totò di esibirsi in alcuni suoi numeri, riproponendo alcuni dei suoi famosi sketch teatrali. L’attore appariva però provato e lavorava non più di quattro ore nel pomeriggio, ma nonostante tutto era ancora in grado di padroneggiare la scena. Il ciclo andò in onda dopo la sua morte, dal maggio al luglio del ’67, per poi essere replicato dieci anni più tardi.Positiva fu l’accoglienza del pubblico, più fredda quella della critica, che sottolineava come la comicità di Totò non apparisse al meglio in quanto alla realizzazione frettolosa e approssimativa.

Totò morì nella sua casa di Via Monti Parioli alle 3:30 del mattino del 15 aprile 1967,aveva 69 anni: venne stroncato da un infarto dopo una lunga agonia, tanto sofferta che lui stesso pregò il medico curante di lasciarlo morire. Proprio la sera del 13 aprile confessò al suo autista Carlo Cafiero: «Cafie', non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza». Le sue ultime parole furono, secondo Franca Faldini, «T'aggio voluto bene Franca, proprio assai», sebbene secondo la figlia Liliana disse: «Portatemi a Napoli: sono cattolico, apostolico e napoletano».

I funerali
Totò avrebbe voluto un funerale semplice,ma  ne ebbe ben tre. Il primo a Roma . La sua salma fu vegliata per due giorni da personalità  dello spettacolo e non solo , venute da tutta Italia .Più di duemila persone accompagnarono Totò nella chiesa Sant'Eugenio, dove si svolse la cerimonia. Tra i tanti presenti :  Alberto Sordi, Elsa Martinelli, Olga Villi, Luigi Zampa e Luciano Salce;parteciparono anche i registi che lo avevano sempre ignorato, e i critici che lo avevano avversato e considerato un artista inconsistente e volgare. Sulla sua bara furono poggiati la famosa bombetta te un garofano rosso. Si trattò di  una semplice benedizione poichè le autorità religiose crearono problemi vista la sua convivenza  con Franca Faldini ( i due non erano sposati )  che  addirittura fu fatta uscire di casa mentre il prete benediceva la salma di Totò.
Il secondo funerale fu nella chiesa di Sant Eligio a  Napoli ,città natale  alla quale Totò era  legatissimo. Il pomeriggio del  17 aprile  il feretro partì da Roma , scortato da una trentina di auto. Nel capoluogo partenopeo tutte le attività vennero  sospese dalle 16 alle 18,30 , i muri delle strade furono inondati  di manifesti di cordoglio, le saracinesche  dei negozi vennero calate , i portoni dei palazzi socchiusi . Ad attendere l'attore , tra oltre 250.000 persone , c'erano i fratelli Nino e Carlo Taranto, Ugo D'Alessio, Luisa Conte, Dolores Palumbo

L'orazione funebre di Nino Taranto:
« Amico mio, questo non è un monologo, ma un dialogo perché sono certo che mi senti e mi rispondi, la tua voce è nel mio cuore, nel cuore di questa Napoli, che è venuta a salutarti, a dirti grazie perché l'hai onorata. Perché non l'hai dimenticata mai, perché sei riuscito dal palcoscenico della tua vita a scrollarle di dosso quella cappa di malinconia che l'avvolge. Tu amico hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l'allegria di un'ora, di un giorno, tutte cose di cui Napoli ha tanto bisogno. I tuoi napoletani, il tuo pubblico è qui, ha voluto che il suo Totò facesse a Napoli l'ultimo "esaurito" della sua carriera, e tu, tu maestro del buonumore questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio Totò, addio amico mio, Napoli, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori, e che non ti scorderà mai, addio amico mio, addio Totò. » Dopo il rito funebre, le autorità furono costrette a far uscire la salma da una porta secondaria, all'interno della basilica susseguirono scene di panico e anche svenimenti; ci furono quattro feriti, due donne e due agenti, in seguito all'enorme scompiglio causato. Il corpo di Totò venne così scortato da motociclisti della polizia al Cimitero del Pianto, ove ad attendere c'erano Franca Faldini, la figlia Liliana con il marito, Eduardo Clemente e Mario Castellani, che per via della straripante folla decisero di non assistere alla funzione religiosa e raggiunsero direttamente in auto il cimitero. Totò fu sepolto nella tomba di famiglia accanto ai genitori, al piccolo Massenzio e all'amata Liliana Castagnola.
Il terzo funerale lo  fece un "guappo "del Rione Sanità, quartiere natale di Totò , si tenne il 22 maggio, la bara era ovviamente  vuota, ma  c'era la stessa folla acclamante e piangente del mese precedente .